Light from infinity Home page di Fulvio Mete
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Prefazione
Le riprese fotografiche e ccd della fotosfera solare hanno da sempre appassionato gli astrofili, anche per la naturale attrazione che la stella a noi più vicina esercita sulle nostre menti e, perché no, sui nostri cuori.Non esiste, credo, astrofilo, che non abbia , almeno una volta nella sua vita, provato a riprendere la superficie solare,sempre, beninteso, con sistemi sicuri per la vista, come filtri solari a tutta apertura, prismi di Herschel etc.
A questa volontà di riprendere e di memorizzare in qualche modo gli eventi fisici della fotosfera solare non ha sempre corrisposto la qualità dei risultati, anche ove venissero usati strumenti di grande apertura, essenzialmente a causa del seeing delle ore diurne, che provoca terribili ribollimenti dell’atmosfera e la completa deformazione del fronte d’onda in ingresso degli strumenti usati, con immagini impastate e con scarsi dettagli.
Ricordo, sin da quando ho iniziato ad interessarmi di astronomia pratica, che tra gli astrofili correva una voce che non so se meglio definire voce di corridoio o favola metropolitana, che per l’osservazione solare in luce bianca fossero sufficienti strumenti con non più di 80 mm di apertura, meglio ancora se a lunga focale, “tanto, con il sole non si superano comunque i 2 sec. d’arco di risoluzione”,.
Il presente testo intende sfatare, una volta per tutte, tale falso assunto, dimostrando che, grazie al supporto dei moderni sensori allo stato solido e , negli ultimi tempi, delle webcam di uso comune e dal prezzo irrisorio si possono raggiungere, anche sul sole, poteri risolutivi superiori a quello teorico del telescopio usato, anche ove questo sia uno strumento a corto rapporto f/d .
E’, inoltre mia intenzione porre le riprese solari a disposizione di tutti, a prescindere dalla qualità e dal costo della strumentazione a disposizione, dimostrando anche che il sole “ha bocca buona” e non pretende strumenti dal costo astronomico (è proprio il caso di dire) per lasciarsi osservare e svelare i suoi segreti, con dettagli sino a qualche anno fa appannaggio di osservatori professionali.
Mi auguro che questo mio progetto incontri i desideri di tutti gli astrofili, appassionati del sole e non, che avranno la possibilità di cimentarsi con successo con la difficile arte della ripresa solare ad alta risoluzione.
INDICE - Cap. 1 - La strumentazione
- Cap. 2 - Il riflettore solare
- Cap. 3 - La montatura equatoriale
- Cap. 4 - Il sistema di filtratura
- Cap. 5 - Il seeing
- Cap. 6 - Le condizioni ambientali
- Cap 7 - Gli accessori per la ripresa
- Cap. 8 - La camera
- Cap. 9 - L’elaborazione
- Cap. 10 – L’attore sulla scena: Il Sole
- Appendice 1 – Un Newton solare
La Strumentazione
1 – I Rifrattori
Da sempre i rifrattori sono stati considerati gli strumenti principe per l’osservazione e la ripresa solare a bassa ed alta risoluzione.In particolare, quelli a lungo fuoco, con rapporto f/d non inferiore a 13 erano considerati gli strumenti solari per eccellenza.Ciò per un duplice ordine di motivi: la quantità enorme di luce in ingresso sconsiglia l’uso di specchi come obiettivi, per gli inevitabili fenomeni di riflessioni spurie e perdita di contrasto, mentre la lunga focale permette, da un lato di contenere le aberrazioni residue delle lenti e, dall’altro di attenuare la luce stessa ,aumentando il contrasto dell’immagine.Gli strumenti a lenti possono, com’è noto, dividersi in tre grandi categorie: Acromatici, Semi apocromatici ed Apocromatici. I primi hanno obiettivi composti in genere da due lenti spaziate in aria, una di vetro crown ed una di vetro flint,secondo uno schema ottico detto di tipo Fraunhofer, dal nome del suo inventore, che portano allo stesso fuoco le radiazioni rosse e verde- blu (righe C ed F dell’idrogeno, a 6563 e 4861 A) mentre lasciano leggermente fuori fuoco le radiazioni violette (cd. spettro secondario) causa del classico alone blu-violetto attorno alle immagini degli oggetti astronomici più luminosi.C’è da dire, tuttavia, che se tali obiettivi sono costituiti da vetri ottici di qualità e se hanno una precisione di lavorazione tale da abbattere aberrazione sferica ed astigmatismo, l’immagine non risente in modo eccessivo dell’aberrazione cromatica, che si evidenzia ai bordi degli oggetti, lasciando inalterata la visione dei particolari al loro interno. Tra i semiapocromatici ricordiamo gli strumenti con obiettivi, in genere Fraunhofer, costituiti da vetri speciali (i cd. ED odierni ed i famosi AS della Zeiss) , con caratteristiche tali da diminuire la dispersione tra i diversi tipi di radiazione incidente.I prezzi di tali strumenti sono, tuttavia, notevolmente superiori a quelli degli acromatici normali. Gli apocromatici hanno avuto uno straordinario sviluppo negli ultimi anni, a causa della sempre maggiore disponibilità di vetri ottici selezionati e della progettazione al computer degli obiettivi, che ha reso possibile disporre di obiettivi sempre più sofisticati, nei quali vengono portati a coincidenza i tre colori primari, con un controllo totale di sferica ed astigmatismo.Le relative immagini sono nitide, incise e brillanti in tutto lo spettro visibile, perdendo lievemente incisione solo nel vicino IR.Caratteristica, purtroppo, di tali strumenti, sia con obiettivi a tripletto che a doppietto alla fluorite (CaF2), è il loro costo molto elevato (mediamente 5/7 volte quello di un buon acromatico), che ne consiglia l’uso solo nei casi in cui la totale acromaticità sia effettivamente indispensabile. Nel caso del sole, per fortuna, tale caratteristica non è assolutamente necessaria, dato che si osserva , per i motivi che andrò a spiegare, essenzialmente in luce monocromatica: ciò non vuol dire, tuttavia, che l’osservazione solare possa essere fatta con qualsiasi “fondo di bottiglia” essendo comunque indispensabile un ottima correzione della aberrazione sferica e dell’astigmatismo: è semplicemente necessario che il rifrattore acromatico sia di buona qualità e le ottiche ben lavorate, possibilmente ad ¼ della lunghezza d’onda della luce o superiore.
Qualsiasi testo di astronomia pratica spiega che per l’osservazione e la ripresa planetaria, lunare e solare i rifrattori usati dovranno essere di lunga focale, per minimizzare le aberrazioni residue aumentando nel contempo la scala dell’immagine.Sul sole, poi, in particolare, la focale lunga è richiesta anche allo scopo di ridurre l’angolo del fascio ottico incidente nel caso di utilizzo di un prisma di Herschel, allo scopo di diminuire il calore in ingresso e quindi lo stress del prisma stesso.Anche tale requisito non è , a mio avviso, indispensabile.Il surriscaldamento del prisma è, infatti, inferiore a quanto si creda, in quanto il fuoco dell’immagine solare non cade esattamente al suo interno, ma a qualche centimetro di distanza.E’, tuttavia, buona norma, specie nel caso si usino rifrattori molto aperti (f 7 o 8 ) in coppia con prismi di Herschel, di interrompere ogni 10 min circa le osservazioni o le riprese per dar modo al prisma di raffreddarsi, nell’interesse anche della qualità delle immagini.Alcune avvertenze sono comunque necessarie , ma ne parlerò più avanti, a proposito dei sistemi di ripresa solare.Riterrei ora di precisare, comunque, che obiettivi di luminosità inferiore a f 7 non sono adatti alla ripresa solare con lame di Herschel, specie se di diametro notevole.Mi auguro quindi che i lettori in possesso di rifrattori da 120 o 150 mm .aperti a f 5 o 6 non pensino di usare su di essi un prisma solare, magari da 31,8, per la ripresa, ma bensì un ben più sicuro filtro solare da anteporre all’obiettivo.Un’altra avvertenza mi sembra qui necessaria per i possessori di sofisticati rifrattori APO, che oggi vanno per la maggiore, con schema ottico a 4 lenti in due gruppi (Tele Vue Genesis, TV 101, Takahashi FSQ 106, etc), nei quali il secondo gruppo è posto in prossimità della messa a fuoco e quindi del fuoco: con tali strumenti l’uso di prismi di Herschel è altamente sconsigliato per la possibilità, non tanto ipotetica, non della rottura, ma , a lungo andare, di fenomeni di alterazione del vetro ottico, di scollamento di eventuali componenti incollati etc, con un danno economico notevolissimo. Mi sembra ora di ascoltare il lettore che, con aria un po’ perplessa, mi chiede: Ma allora, che tipo di rifrattore è necessario per le riprese solari in alta risoluzione ? – La risposta è semplice: Un rifrattore di buona qualità ottica, non ha importanza se acromatico , semiapo o apocromatico, di rapporto focale tra f 7 e f 15, senza lenti od aggiuntivi ottici di qualsiasi tipo nel tubo, all’infuori dell’obiettivo. Il tubo stesso dovrà, inoltre, essere annerito con la massima cura al suo interno (possibilmente con vellutino nero) e privo da riflessioni parassite. I diaframmi dovranno essere in congruo numero rispetto alla focale, e comunque non meno di tre/quattro, e lavorati, possibilmente, a “lama di coltello” per enfatizzare il contrasto.Il focheggiatore, altro elemento critico per le riprese CCD, dovrà essere privo di giochi e shifting, pena la perdita dell’immagine appena inquadrata, magari dopo notevoli sacrifici, sul monitor del computer.Un aspetto, per così dire, di facciata, ma che tale non è, è il colore esterno del tubo.Non dovrà, necessariamente, essere nero, pena l’inevitabile accumulo di calore nel corso della posa, con nefaste conseguenze sull’immagine.Per coloro in possesso di strumenti verniciati in tale colore, un ‘alternativa alla riverniciatura può essere la copertura con uno strato di alluminio per alimenti, operazione peraltro comunque consigliata per riflettere il calore e diminuire la temperatura esterna (ed interna) del tubo.Tale strumento andrà accoppiato, per le riprese, ad un prisma di Herschel di grandezza commisurata al diametro del fascio ottico in ingresso ,definito dal campo di piena luce, nel punto di posizionamento del prisma ed in genere sarà tanto più grande quanto più grande sarà l’obiettivo e più corta la sua focale.E’ chiaro che per un 100 mm a f 10/12 con un campo di piena luce di 10 mm al fuoco, andrà bene un prisma di Herschel da 31, 8, considerato che, prima del fuoco, dove il prisma è posizionato, il diametro del fascio ottico dovrebbe essere di ca 15 mm .Ovviamente per un 150 mm di diametro a f10 la cosa sarebbe ben diversa,richiedendosi un prisma da 50mm di diametro. La formula per il calcolo del campo illuminato in un dato punto e la definizione del diaframma in quel punto A(N), è la seguente:
A(N) = C + ( ( F- X(N)) x (D- C)/F) Dove: D= Diametro obiettivo C= Campo di piena luce desiderato al fuoco F= Lunghezza focale X(N)= Distanza diaframma- obiettivo Tutti i valori vanno espressi in mm.
– I Riflettori
L’uso degli strumenti a specchio per le riprese solari è stato, in genere, sconsigliato per gli inevitabili fenomeni di riflessioni parassite interne .Occorre, comunque, effettuare un indispensabile preliminare distinzione tra configurazione newton e catadiottrici.Mentre questi ultimi (Schmidt- Cassegrain, Matsukov- Cassegrain, Matsukov- newton, etc) non possono mai essere utilizzati con dispositivi che fanno passare luce solare non filtrata attraverso l’obiettivo, come prismi di herschel, in quanto il calore prodotto dalla luce concentrata dallo specchio primario, (in genere un f 2 o 3 per gli SC e MC, f6 per i MN), sarebbe estremamente dannosa per il supporto dello specchio secondario,e probabilmente anche per lo specchio secondario stesso,per i newton con rapporti di apertura meno forzati è possibile ipotizzare soluzioni diverse. I catadiottrici andranno quindi sempre utilizzati con filtri davanti all’obiettivo (in mylar, astrosolar od in vetro), prestando comunque attenzione a che l’alluminatura di tali filtri non abbia dei punti di interruzione, attraverso cui passi la luce solare.Ove sussistano tali punti, facilmente individuabili ponendo il filtro controluce, il filtro stesso va rialluminato o sostituito, pena una generale perdita di contrasto dell’immagine e, cosa ben più pericolosa, il passaggio di una certa quantità di raggi UV ed infrarossi non filtrati nella nostra retina.In alternativa, ove i punti non alluminati siano pochi (2 o 3) e piccoli in dimensione, un tocco di vernice nera può andare bene sui soli filtri in vetro ottico, per superare il problema. Per i telescopi Newton sono, invece, possibili configurazioni tali da renderli splendidi strumenti solari, a patto che la qualità di lavorazione degli specchi sia buona, e che il rapporto F/D sia compreso tra 6 e 10. Una prima configurazione “solare” è quella che prevede, per i Newton, una lastra pian parallela posta all’entrata del tubo, a 45°, semialluminata, che, da un lato limita l’intensità della luce in ingresso e dall’altra funge da specchio secondario, rinviando il fascio ottico al tubo di messa a fuoco ed all’oculare (Fig.1).In appendice è riportato un simile progetto ottico ideato e realizzato dall’Ing. Massimo D’Apice.Tale soluzione ha il pregio di limitare la luce ed il calore senza l’uso di elementi ottici aggiuntivi.Per contro ha lo svantaggio di necessitare di lastre pian parallele di notevole diametro (ca il 60% in più del diametro dello specchio primario) e di elevata qualità ottica, che sono particolarmente costose.
Una seconda configurazione, di più facile realizzo, prevede un primario, di rapporto F/D da 6 in su (quello ottimale sarebbe, ad avviso di chi scrive, f 8) privo di alluminatura ed un secondario alluminato di dimensioni tali da minimizzare l’ ostruzione.Un buon compromesso potrebbe essere un primario non alluminato da 20 cm aperto ad f 8 ed un secondario alluminato da 30 mm. di asse minore.Tale configurazione farebbe comunque passare(come del resto la precedente) ancora il 4/5 % della luce in arrivo, il che renderebbe indispensabile l’uso di una filtratura appropriata con filtri ND ed IR cut.Nella costruzione di tale strumento, il cui specchio primario, non alluminato, lascia passare gran parte dei raggi solari, creando la possibilità di doppie riflessioni e riflessioni parassite con perdite di contrasto, particolare attenzione va posta alla parte posteriore dello specchio ed alla costruzione della cella.Per quanto riguarda quest’ultima, alcuni hanno preferito dipingerla di bianco per minimizzarne l’assorbimento di calore, altri di nero per evitare riflessioni parassite sullo specchio. Relativamente alla parte posteriore dello specchio,alcuni l’hanno smerigliata altri l’hanno lavorata con una inclinazione di 2/3° , in modo da attenuare al massimo le riflessioni minimizzando il riscaldamento della massa vetrosa.Occorre comunque tener conto che la luce solare che non viene riflessa e passa attraverso lo specchio primario non viene concentrata, e che quindi la massa vetrosa assorbe calore come un qualsiasi oggetto esposto alla luce solare, cosa che però, specie nei mesi caldi, può causare uno shifting consistente della messa a fuoco e della figura ottica sino a che non si raggiunge la stabilizzazione, che può essere agevolata dall’uso di una ventola applicata nella parte posteriore della cella,.Nella fig.2 è illustrato uno schema del predetto strumento, sul quale si discuterà in dettaglio più avanti.
E’ opportuno precisare che entrambe tali configurazioni ottiche sono indicate esclusivamente per la ripresa CCD e non per l’ osservazione, a meno che non si usino filtri che, oltre a eliminare la luce in eccesso, garantiscano anche il blocco dei raggi UV ed IR, dannosi per gli occhi.
Il riflettore solare
Abbiamo in precedenza esaminato sommariamente alcuni tipi di strumenti amatoriali a riflessione per l’osservazione e la ripresa del sole, quali il Newton con specchio primario non alluminato e secondario alluminato, e quello a lastra anteriore semialluminata e primario non alluminato che viene illustrato in dettaglio nell’appendice al presente lavoro. Qualcuno potrebbe osservare che, dato che i rifrattori si prestano così bene alle riprese solari, non si vede perché si debba ricorrere a strumenti a specchi per loro natura poco adatti a tale incombenza .La risposta è estremamente semplice: il guadagno di potere risolutivo.Una volta, infatti, abbattuta la leggendaria impossibilità di superare risoluzioni di due secondi d’arco e raggiunti come si è visto, risoluzioni inferiori al sec. d’arco con strumenti di 11 – 12 cm, nulla vieta di raggiungere risoluzioni anche superiori.Raddoppiare l’apertura con un rifrattore sarebbe eccessivamente dispendioso ed alla portata di pochi fortunati con a disposizione sia mezzi economici notevoli che lo spazio per ospitare un tale strumento con la relativa montatura.Il riflettore il configurazione Newton è, invece, uno strumento estremamente semplice da costruire o da acquistare, economico, poco ingombrante in relazione all’apertura e dalle prestazioni molto interessanti per l’alta risoluzione. Abbiamo i visto come i vari tipi di filtri da anteporre all’obiettivo mal si prestano per un uso in alta risoluzione con focali superiori ai 3 metri, ed una quantità notevole di appassionati, dopo aver scattato qualche foto od effettuato qualche ripresa webcam in bassa o media risoluzione , con la visibilità di alcuni particolari delle macchie o delle facole, preferisce passare a più gratificanti riprese planetarie o lunari, ritenendo erroneamente che i modesti risultati siano da attribuire al seeing ed alla turbolenza. Chi scrive ha quindi ritenuto di approfondire e sviluppare l’idea del telescopio newton pensato per le riprese solari in alta risoluzione.
Un Newton pensato per le riprese solari in alta risoluzione consta di uno specchio primario non alluminato e di un secondario con alluminatura normale.Tale configurazione riduce, analogamente a quanto succede con l’uso di un prisma di Herschel, la luce in ingresso a circa il 5% del totale.Tale luminosità è comunque eccessiva per l’uso visuale , potendo causare ugualmente gravi danni agli occhi, e va comunque filtrata.C’è da dire, tuttavia, che, tenuto conto della possibilità di rottura dei filtri posti al fuoco di tale strumento, lo stesso va usato esclusivamente per riprese con webcam od altre camere CCD, essendo opportuno che la centratura delle macchie nel campo della camera venga effettuato con uno strumento ausiliario (eventualmente un piccolo rifrattore posto in parallelo e dotato di un filtro di sicurezza davanti all’obiettivo). Una configurazione di questo tipo è stata utilizzata con successo da J Whipple , che ha ottenuto, ponendo al fuoco di un Newton da 200 mm a F 10 un filtro interferenziale centrato sui 520 nm ed una telecamera in b/n, immagini eccellenti di gruppi di macchie solari. Il punto critico della descritta configurazione è dato dalla parte posteriore dello specchio non alluminato, che deve necessariamente essere satinata o smerigliata allo scopo di diffondere la luce che attraversa lo specchio stesso ed impedire riflessioni parassite, in particolare la doppia riflessione, una piana del fondo dello specchio, ed una focalizzata, della superficie, che abbassano notevolmente il contrasto.In alternativa, lo specchio stesso potrebbe essere, nella parte posteriore, anzichè piano, lavorato con una inclinazione di 2/3 gradi, similmente ad un prisma di herschel.Delle due soluzioni, la prima è tuttavia ottenibile con relativa facilità, anche utilizzando specchi già in possesso dell’astrofilo, ai quali può essere tolta l’alluminatura con un bagno in soda caustica diluita (20-30%) in acqua distillata per un periodo oscillante tra la mezz'ora e le 48 ore, a seconda dello stato dell’alluminatura e di una eventuale quarzatura leggera (per gli specchi con completa protezione al quarzo tale sistema non funziona oppure funziona dopo un lungo bagno 1-2 giorni), detergendo con una soluzione di aceto eventuali impurità residue , risciacquando poi sempre con acqua distillata e lasciando asciugare lo specchio in posizione eretta.La smerigliatura posteriore può essere ottenuta lavorando lo specchio, con un apposito attrezzo di vetro, con Carborundum a grana molto grossa (400).Chi scrive ha tuttavia sperimentato la satinatura con normalissima carta vetrata grana 40, ottenendo un ottimo risultato. Inutile dire che le focali degli specchi in questione dovranno essere lunghe, (preferibilmente da f 8 in su), allo scopo di ridurre al massimo il calore intercettato dallo specchio secondario diminuendo, nel contempo, il diametro di quest’ultimo.In caso di necessità potrebbero anche essere utilizzati specchi a f 6-7, come è capitato al sottoscritto, da tempo in possesso di un ottimo specchio della nota ditta americana Parks da 200 mm a f 6, il quale , per risparmiare sia tempo, che soldi ed ingombro, è stato utilizzato come primo esperimento di Newton solare. L’intubazione di tale specchio è stata quindi effettuata con un occhio all’alta risoluzione, e le distanze specchio – fuoco pensate per garantire un campo di piena luce di ca. 10 mm con un secondario di soli 30 mm.Sulla carta un simile strumento dovrebbe equivalere ad un rifrattore di 170 mm di diametro (200 – 30).Nella realtà le cose non stanno proprio così,in quanto l’ostruzione, anche se minima, comunque sposta una parte di luce dal centro del disco di airy agli anelli, producendo un abbassamento del contrasto. A questo si aggiunga che la superficie del secondario viene sfruttata al massimo, ed in genere i bordi degli specchi ellittici presentano un certo decadimento qualitativo.Purtuttavia, sicuramente un siffatto strumento, data l’eccellenza delle ottiche,risulta pari ad un rifrattore da 150 mm, tra l’altro anche apo, essendo l’immagine fornita priva di cromatismo. Il punto dolente della descritta configurazione è che il punto di fuoco fuoriesce dal tubo di soli 2-3 cm, il che, se può andare ancora bene per l’uso visuale , impedisce di porre al fuoco stesso qualsiasi strumento di ripresa, anche con focheggiatori a brevissima escursione, quale quello da me costruito. Ho risolto parzialmente il problema applicando alla parte terminale del focheggiatore un estrattore di fuoco ricavato da un riflettore 114/1000 giapponese, rivelatosi (inaspettatamente) di eccellente qualità ottica. Lo specchio della Parks, per mia fortuna, era stato satinato in fabbrica, e quindi , una volta tolta l’alluminatura col sistema descritto in precedenza, non ho dovuto farvi altri interventi. E, in effetti, una volta montate le ottiche, la mia prima impressione su questo newton rivisitato in chiave di alta risoluzione solare è stata che il contrasto complessivo fornito dallo specchio senza alluminatura fosse superiore a quello precedente, nonostante la collimazione non perfetta e l’ovvia scarsa luminosità dell’immagine stessa: ad un primo sguardo su di una superficie illuminata l’immagine all’oculare era cristallina, da rifrattore di medio diametro. Altre prove mi hanno fatto tuttavia scoprire il lato debole del progetto: una volta puntato sul sole , con dovizia di filtri IR cut e ND 3, posti a monte del fuoco, per impedire in ogni caso un loro riscaldamento e rottura, il tubo chiuso, tra l’altro in PVC, non consentiva un rapido acclimatamento dello specchio, la cui temperatura tendeva quindi ad aumentare causando uno shifting della messa a fuoco per un periodo di tempo variabile.Dopo tale periodo, in genere la visione era molto buona, anche tenendo conto che la smerigliatura posteriore, se da un lato protegge da riflessioni parassite, dall’altro intrappola all’interno dello specchio la luce (ed il calore) in arrivo , producendo un certo riscaldamento della massa vetrosa rispetto alla temperatura ambiente. Ulteriori sperimentazioni hanno tuttavia dimostrato l'efficacia di tale soluzione anche con uno specchio a f 6 a in un tubo chiuso a condizione di utilizzare le prime ore del mattino in cui il seeing generale e locale è migliore, e le correnti d'aria all'interno del tubo sono limitate.In tali condizioni, lo strumento può offrire ottime immagini sino a focali equivalenti di 6-7 metri. In conclusione, l’esperimento del riflettore solare con specchio non alluminato andrebbe a mio avviso delimitato a specchi con elevato rapporto f/d (da f 8 in su) nonchè a strutture aperte, di tipo serrurier, avendo cura di agevolare la ventilazione dello specchio quanto più possibile, magari con l’uso di ventole a monte della cella che, oltre ad essere di una costruzione tale da lasciar libera buona parte dello specchio, andrebbe opportunamente dipinta di bianco.Si possono comunque utilizzare anche specchi a f 6 - 7 tenendo conto delle limitazioni sopra descritte. I
La montatura equatoriale
- La montatura alla tedesca.
Nonostante per molti questo tipo di montatura equatoriale costituisca solo uno dei tanti tipi disponibili, commercialmente o meno, per l’amatore, essa è, dal punto di vista di chi scrive, la montatura per eccellenza. Una buona montatura alla tedesca garantisce una precisione non ottenibile con le comuni montature a forcella, consentendo inseguimenti continui, precisi e senza esitazioni o rallentamenti, indispensabili per la ripresa in alta risoluzione.Infatti, contrariamente a quanto comunemente si crede, una montatura che insegue correttamente contribuisce non poco ad un buon risultato finale. Mi si potrebbe opporre che, dato che nella ripresa solare con CCD i tempi di otturazione elettronica sono brevissimi ,dell’ordine da 1/500 ad 1/10000, a seconda della focale e del sistema di filtratura usati, non appare necessario dotarsi di una montatura particolarmente stabile, tenuto anche conto del costo delle montature migliori.Ciò non è assolutamente vero: un inseguimento costante e fluido in AR e la possibilità di correzioni altrettanto fluide in Declinazione fanno sì che 1) tutta la luce in ingresso raggiunga i pixel del sensore, 2) l’oggetto ripreso, nel caso una macchia solare, un fenomeno di brillamento, etc, rimanga al centro del campo del CCD senza spostamenti continui. Tale esigenza non è solo questione di comodità, ma è il presupposto indispensabile perché il programma deputato all’allineamento e stacking delle singole immagini possa poi svolgere al meglio il suo lavoro: il risultato finale dipenderà anche da accorgimenti in apparenza insignificanti come questo. La necessità di una montatura efficiente e robusta dipende anche dal fatto che per le riprese solari ad alta risoluzione vengono di norma impiegati rifrattori o strumenti pesanti, che non possono essere posti su supporti traballanti. Personalmente uso da anni solo montature alla tedesca, ed attualmente svolgo la mia attività di ripresa solare su una Losmandy G11 o su Meade LXD 700, tutte montature robuste , con un ’elettronica di tutto rispetto che permette, tra l’altro, di selezionare la specifica velocità di inseguimento solare pari a 60,0 Hertz (Fig 3 e 4).
Fig 3 Fig 4
-La montatura a forcella
Tra i vari tipi di montature equatoriali in commercio, questa è sicuramente la seconda come importanza e diffusione, equipaggiando anche i famosi Schmidt- Cassegrain americani di diverse aperture. Tuttavia, come si è detto , tale categoria di strumenti non è utilizzabile per lavori di ripresa solare in alta risoluzione con prismi di Herschel, essendo il loro campo applicativo limitato all’uso di filtri a tutta apertura che limitano, per forza di cose, la quantità di luce in ingresso nello strumento. Sono state e vengono altresì proposte alcune montature artigianali di questo tipo, quasi tutte di costruzione nazionale, che sono sufficientemente robuste per lavori solari in alta risoluzione con prismi di Herschel, a patto che su di esse vengano posti strumenti adatti.
Il sistema di filtratura
Il termine sistema per indicare il complesso lavoro di filtraggio della luce solare incidente non è casuale, ed è stato appositamente usato per sottolineare l’importanza di tale aspetto nelle riprese solari ad alta risoluzione. Contrariamente a quanto normalmente si crede, in tale genere di attività astronomica la conoscenza della teoria del colore e l’uso dei filtri appropriati non è un optional, qualcosa che al massimo serve ad enfatizzare particolari già evidenti, ma costituisce il confine tra il vedere il particolare e non vederlo affatto, tra il riprendere una caratteristica saliente della fotosfera e il bypassarla in modo clamoroso. Per approfondire e capire gli aspetti salienti di tale necessario corollario delle riprese solari ,digitali e non, è indispensabile un accenno alla teoria del colore, alla radiazione di corpo nero, al comportamento dei vari filtri alle specifiche frequenze del visibile in cui emette la fotosfera solare.
Prima di iniziare la trattazione dei colori, mi sembra tuttavia opportuno un richiamo alla sicurezza dei vari tipi di sistemi filtranti della luce solare in monocromatico.Il sole, infatti, mentre da un lato ci soddisfa appieno con meravigliose immagini della stella a noi più vicina, dall’altro non perdona gli sconsiderati che tentano di osservarlo con sistemi improvvisati o non sicuri. La radiazione solare che arriva all’occhio spazia da 3800 A a 14000 A, comprendendo sia il vicino UV che il vicino e medio IR.Mentre gli effetti dell’assorbimento ultravioletto sembrano essere l’invecchiamento del tessuto epiteliale e la possibilità di sviluppo di cataratta,l’assorbimento di radiazione infrarossa non filtrata, convertendosi in calore, può letteralmente cuocere la retina, comportando un danno irreversibile (cecità completa) all’occhio (od agli occhi) interessati. Da numerose ricerche in materia, eccellente quella di Ralph Chou sulla rivista americana Sky and Telescope, è risultato che i filtri più sicuri da anteporre all’obiettivo sono quelli in vetro od in mylar alluminati specifici per osservazione solare, mentre sono da evitare assolutamente, per il cospicuo passaggio di radiazione infrarossa,le emulsioni fotografiche sviluppate,a colori od in bianco-nero, i floppy disk, i cd , i vetri affumicati, e tutti i filtri “fatti in casa”.L’unica eccezione sono i filtri ricavati da vetri per saldatori di opacità da 13 a 14.Personalmente ho usato da anni un tale ,economico, tipo di filtro per l’osservazione solare con prisma di Herschel La scarsa qualità ottica di tali vetri può essere aggirata ponendolo, con un apposito adattatore tornito, sulla lente dell’occhio di un oculare, in modo da osservare una immagine già formata dal sistema ottico, ed alla quale il filtro partecipa esclusivamente quale elemento attenuatore.L’immagine fornita era bella e contrastata, tale da non fare per nulla rimpiangere filtri più costosi e blasonati.
- La teoria dei colori
Dopo la precedente esposizione, necessaria non tanto ai fini del presente testo quanto per doverosa informazione del lettore meno preparato sui pericoli della osservazione e ripresa solare in modo non attento e ponderato, è il caso di illustrare le parti essenziali della teoria della luce utili per la comprensione del complesso approccio alla ripresa solare in luce dei vari colori. La teoria della luce ebbe un illustre precursore nella persona di Sir Isaac Newton (1643-1727) il primo ad effettuare ufficialmente esperimenti di scomposizione della luce stessa nei suoi componenti fondamentali per mezzo di prismi.La sequenza storica prosegue con Sir Thomas Young (1773-1829), fisico inglese, che , essendo anche medico e fisiologo , sviluppò una teoria sulle modalità di percezione dei colori da parte dell’occhio umano.James Maxwell , Wilhem Oswald e Albert Munsell contribuirono allo sviluppo ed al consolidamento della teoria.
La luce cd”visibile” in quanto percepibile dall’occhio umano, si colloca in una stretta nicchia dell’ampia gamma di radiazioni elettromagnetiche che vanno dalle onde radio (di lunghezza sino a 10 km) ai raggi cosmici ( sino a 10 ^-6 nm). La luce visibile, compresa nella banda spettrale tra 380 e 780 nm (1 nm = 1 milionesimo di mm.) si chiama bianca quando tutte le lunghezze d’onda di cui è composta intervengono in modo uguale nella sua formazione.Facendo passare la luce solare bianca attraverso un prisma od un reticolo, si osserva la sua scomposizione nei suoi componenti di colore, ottenendo uno spettro solare: l’osservazione attraverso una sottile fenditura permette altresì di scorgere le righe di assorbimento degli elementi presenti nel sole (fig.5).In tale spettro, si può innanzitutto osservare che i colori, pur in innumerevoli sfumature, si raggruppano in tre zone principali: il blu, il verde ed il rosso, ed in tale sequenza diminuisce la lunghezza d’onda.Tali colori sono comunemente chiamati “colori primari”.Tra questi si collocano i colori intermedi, come il giallo tra il verde ed il rosso, ed il blu-verde , tra gli omonimi colori.
Fig 5 In generale, la percezione visiva dei colori è fortemente soggettiva, e quindi non costituisce un parametro affidabile di riferimento, per cui si è ritenuto di individuare nelle linee di Fraunhofer, linee di assorbimento dell’idrogeno, del mercurio, dell’elio e del potassio nello spettro solare più sicuri punti di individuazione della gamma spettrale dei colori. Un collegamento, quindi tra sensazione visiva e realtà oggettiva fa meglio comprendere il concetto che si espone, anche perché nella determinazione della qualità dei vetri ottici e nella scelta dei medesimi si tiene conto esclusivamente delle righe di Fraunhofer.Quando , quindi, si parlerà di un obiettivo “corretto per le righe C ed F”, vorrà dire che il predetto porta allo stesso fuoco il rosso ed il verde-blu.
Nel prospetto che segue viene illustrato il collegamento dianzi accennato:
L’occhio umano ha il picco di sensibilità alla lunghezza d’onda di 555 nm, corrispondente al colore verde-giallo, ma conserva una buona sensibilità tra i 520 ed i 590 nm., al di fuori di questi limiti la sensibilità stessa decresce in modo sempre più avvertibile.Nella tabella sottoindicata è riportato il valore di sensibilità dell’occhio in rapporto alla lunghezza d’onda in manometri.
In questo primo approccio alla teoria della luce e dei colori, abbiamo quindi visto che l’occhio umano presenta la massima sensibilità nella parte verde- gialla dello spettro ,tra 540 e 570 nm, il che implica che in detta zona è capace di distinguere variazioni di appena 2/3 nm, e che l’impressione di massima luminosità e completezza del segnale gli deriva dal colore corrispondente a 550nm.
- Correzione cromatica di obiettivi da ripresa ed astronomici
Le lenti semplici presentano, com’è noto, la caratteristica che le relative immagini in luce bianca (400-700 nm) hanno frange di colore ai bordi, in genere tanto più evidenti quanto minore è il rapporto F/D.Tale caratteristica prende il nome di aberrazione cromatica, e consta di due tipi: aberrazione cromatica assiale e trasversale.Il primo tipo, quello che ci interessa,si manifesta come variazione della lunghezza focale al variare della lunghezza d’onda e viene di solito rappresentata graficamente come percentuale di variazione in funzione della corrispondente linea spettrale di Fraunhofer.Essa ha come conseguenza che ciascuno dei tre colori primari dello spettro va a fuoco in un punto differente.Anticamente, come sappiamo, gli astronomi tentarono di superare tale inconveniente che rendeva spesso inutilizzabile l’immagine degli obiettivi formati da lenti singole aumentando a dismisura la lunghezza focale delle lenti stesse.Fu tra il 1726 ed il 1760 che Chester Hall prima e John Dollond poi scoprirono che unendo insieme due lenti di diverso tipo, una positiva frontale biconvessa ed una negativa posteriore concava , e con vetri di diverso indice di rifrazione ( crown e flint) , venivano portati a coincidenza due dei tre colori primari dello spettro (rosso e verde-blu per gli obiettivi con correzione visuale) lasciando fuori fuoco soltanto una parte della radiazione incidente , chiamata “spettro secondario”. Dopo tanti anni, sono sopravvenute infinite varianti e migliorie del doppietto di Dollond.Non sembra qui opportuno enumerare i tipi di doppietti usati in astronomia, a contatto o spaziati in aria, di Fraunhofer, di Steinheil, di Littrow, di Baker e così via.Alcune varianti erano dedicate ad un solo uso visuale, altre ad un uso fotografico, etc., ci occuperemo, tuttavia, del tipo più comunemente usato in astronomia, Il doppietto di Fraunhofer spaziato in aria, a correzione cromatica visuale o “fotografica totale”.Il mercato amatoriale è sommerso da strumenti che utilizzano tali obiettivi, alcuni dei quali eccellenti , altri buoni, altri ancora appena sufficienti per un uso terrestre. Doppietti acromatici di tale tipo , destinati ad un uso visuale, sono in genere corretti per le righe C ed F (rispettivamente Ha , 6563 A e Hb , 4861 A) che ricadono nella parte rossa e blu- verde dello spettro. Le altre righe andranno a fuoco un po’ prima od un po’ dopo,e lo spostamento di fuoco principale si ha per il violetto, che genera un alone,peraltro non particolarmente dannoso per le osservazioni e le riprese, intorno agli oggetti molto luminosi (spettro secondario). Nella zona spettrale tra 480 e 560 nanometri, nella quale , come si è visto, l’occhio è particolarmente sensibile, lo spostamento del fuoco è comunque particolarmente contenuto, ed è minimo intorno ai 510/520 nm (fig.6).
Fig 6 L’uso di vetri speciali a bassa dispersione (AS della Zeiss ed i moderni ED) nonché l’uso di tre lenti, anziché due, e, infine, l’uso di doppietti alla fluorite (CaF2) ha portato a diminuire, sino ad annullare in pratica anche lo spostamento di fuoco della parte giallo-verde dello spettro, con una sostanziale coincidenza anche delle righe D (5893 A) ed e (5461 A). Possiamo, in definitiva, dire che nella parte giallo-verde dello spettro i rifrattori acromatici corretti per le righe C ed F presentano un soddisfacente grado di correzione del cromatismo.Ciò ovviamente nel presupposto che sia altrettanto corretta l'aberrazione sferica cromatica (cd sferocromatismo) che contribuisce, ove presente, a rendere lattescente l'immagine nei diversi colori.
La Radiazione di corpo nero e la fotosfera solare
Nel 1800, l’astronomo inglese Sir William Herschel osservò che, muovendo un termometro attraverso la luce solare diffratta da un prisma, vi erano dei mutamenti di temperatura a seconda dei vari colori, e che si verificava un aumento di temperatura costante ben oltre la parte rossa, nella regione che ora viene chiamata “infrarosso”.Tutti gli oggetti (a meno che non abbiano una temperatura pari allo zero assoluto) emettono energia infrarossa. La massima energia che un oggetto può emettere è definita “radiazione di corpo nero”.Il corpo nero è un oggetto teorico inteso come perfetto assorbitore ed emittente di radiazione in tutte le diverse lunghezze d’onda.La radiazione emessa da un corpo nero spazia in una vasta gamma spettrale, con differenti intensità a seconda della lunghezza d’onda interessata.In genere quest’ultima aumenta col diminuire della temperatura.Sulla base delle equazioni di Planck e di Law, esiste, una precisa relazione tra temperatura e lunghezza d’onda. n base a tale relazione è possibile calcolare, per ciascuna data temperatura, in quale lunghezza d’onda ha luogo l’intensità di picco della radiazione emessa. La temperatura viene comunemente misurata con la scala Kelvin (K), detta “scala assoluta”,dove 0°= -273 C.Quindi K = °C + 273. Se ammettiamo, ora che una stella possa comportarsi come un corpo nero, occorrerà trovare la temperatura del corpo nero per cui la distribuzione dell’energia emessa meglio si adatta a quella osservata per la stella. In via di prima approssimazione,anche la fotosfera solare segue le leggi di emissione della radiazione tipiche di un corpo nero, in quanto lo spettro continuo della radiazione solare si sovrappone in modo abbastanza preciso ad una curva di corpo nero alla temperatura di 6000 K (Fig.7).
Fig 7
Il valore effettivo della temperatura di corpo nero della fotosfera osservabile nell’ottico è lievemente inferiore (c.a. 5800 K). La temperatura dell’ombra delle macchie solari oscilla tra 4000 e 5200K, mentre quella della penombra è mediamente di 5500 K.Nella tabella che segue viene indicata l’intensità della radiazione solare alle varie lunghezze d’onda dello spettro per date temperature:
Dalla precedente tabella risulta evidente che la massima intensità di radiazione per la fotosfera solare ad una temperatura di ca. 5800 K corrisponde alla banda spettrale di 500 Nm., (regione azzurro-verde). Per la penombra delle macchie, la cui temperatura è di ca. 5500 K, la banda spettrale corrispondente, anche se la scala grossolana della tabella non permette di visualizzarla, è di 520 nm ca.(verde) Per l’ombra, la cui temperatura oscilla tra 4500 e 4900 K, la banda spettrale corrispondente è compresa tra 590 e 630 nm, (regione arancio- rosso). Abbiamo ora altre informazioni per un ulteriore approccio al la soluzione del problema del filtraggio:
1) fotosfera solare (granulazione)…filtro azzurro-verde centrato sui 500 nm 2) macchie (penombra)……………filtro verde centrato su 520 nm 3) macchie (ombra)……………….filtro arancio/rosso centrato su 590 o 630 nm.
Andremo ora ad approfondire il problema dei filtri più adatti a coprire tali bande spettrali.
- I Filtri
Filtri astronomici tipo Wratten a larga banda
Tra questi, il più indicato, in base alla mia esperienza, in quanto copre sia la banda di emissione dei granuli che quella della penombra, è il W 58 verde.Tale filtro trasmette, inoltre circa il 24% della luce in ingresso, ed assolve quindi anche la funzione di attenuatore, ovviamente insieme ad altri filtri neutri. Il W 21 (arancio) enfatizza i particolari nelle macchie , sia nella penombra che nell’ombra, ma non risulta idoneo per la granulazione ,e trasmette circa il 46%. Un buon compromesso, sempre sulla esperienza di chi scrive, è l’unione di entrambi i filtri. Sia la gamma di filtri nell’azzurro che quelli nel rosso non consentono di visualizzare molti particolari della fotosfera.
Filtri interferenziali a banda stretta
Tali filtri possono essere usati allo scopo di selezionare un fenomeno particolare della fotosfera solare, ma non più di uno insieme come i filtri a larga banda. filtri Oxigen III centrati sui 505 nm di 10/15 nm di banda passante permettono, ad es. di evidenziare molto bene la granulazione, ma non altrettanto le macchie. Qui però la casistica è vasta e variegata in quanto ciascun produttore seleziona particolari bande, alcuni filtri presentano ritorni spuri, molti nell’IR. Appassionati di riprese solari hanno ottenuto ottimi risultati con filtri di 10/15 nm. centrati sui 520 nm.(verde).Tali filtri vengono prodotti dalle Ditte americane Oriel e Edmund ,ma non sono proprio a buon mercato.Un filtro recentemente prodotto dalla tedesca Baader, il "Continuum" , centrato su 532 nm, da ottimi risultati. Un ultimo accenno va effettuato ai filtri centrati sulla riga Ha a 6563 A, di 1,5 A. di banda passante: tali filtri non sono utili per la ripresa di fenomeni fotosferici, se si eccettuano quelli relativi a brillamenti e flares che coinvolgono, tuttavia, essenzialmente la cromosfera. Cio perché man mano che dal rosso si va verso l’infrarosso, la fotosfera appare sfocata.Per tale motivo, avendo spesso, come si è detto,buona parte dei filtri , compresi alcuni a banda stretta, un ritorno di intensità nel vicino e medio IR, conviene in ogni caso che a tali filtri venga accoppiato un filtro taglia infrarosso (IR cut) di buona qualità.Proprio per il ritorno IR e UV di moltissimi filtri in commercio,consiglio comunque, nel caso di osservazioni solari visuali prolungate, l'uso di un buon IR-Uv cut. Si possono , ora, trarre le prime conclusioni di quanto detto in questo paragrafo.Conclusioni che spiegano, in via preliminare, perché l’uso di certi filtri sul sole da ottimi risultati, e quello di altri no.Quante volte abbiamo sentito dire che “l’uso di un filtro verde migliora in modo consistente la visione e le immagini della fotosfera solare” poche volte, tuttavia, ci è stato spiegato perché. Concludendo, abbiamo visto che i rifrattori acromatici (non solo quelli , ovviamente, ma questi sono rinvenibili a prezzi contenuti) sono corretti per la zona verde – gialla dello spettro, ed è proprio in tale zona che cade la massima emissione della granulazione solare ed delle macchie , sia ombra che penombra.L’uso di filtri, innanzitutto verdi ed anche arancio, da soli o combinati permette quindi di evidenziare al massimo tali fenomeni della fotosfera solare.
Il seeing
Viene comunemente definito seeing astronomico la qualità delle osservazioni e delle riprese indotta dalla turbolenza dell’atmosfera terrestre, che rende fluttuanti e poco definite le immagini degli oggetti celesti. Lo scintillio delle stelle potrà, infatti, anche avere una connotazione romantica, ma è assolutamente deleterio quando si tratta di osservare o riprendere minuti particolari di un oggetto astronomico. Il seeing è quindi originato dalle fluttuazioni delle masse d’aria sovrastanti la postazione osservativa.Occorre distinguere, a tale proposito, tra masse d’aria in movimento da 0 a 100 mt dal terreno, quelle tra i 100 mt ed i 2 Km e quelle tra i 2 ed i 12 Km d’altezza. La prima zona è quella dove si concentra la maggioranza dei fenomeni di turbolenza atmosferica, ed è ,sfortunatamente, quella dove la maggioranza degli astrofili svolge la propria attività.La turbolenza è qui causata da edifici, terrazzi, canne fumarie impianti di riscaldamento e condizionamento, che contribuiscono a vario titolo a correnti di convenzione dovute a differenze di temperatura tra le varie aree, ovvero a emissione di calore da parte di elementi (terrazzi, asfalto), che di giorno o nelle ore calde lo assorbono per restituirlo di notte. Anche il telescopio stesso ed il suo tubo, possono produrre effetti di perturbazione sull’immagine, celebre la cd. “piuma di calore” che altera le immagini di diffrazione. La più nota scala di definizione del seeing è quella di W. Pickering, astronomo dell’osservatorio di Harvard, che stabilì 10 punti di indicazione dello stato dell’atmosfera, sulla scorta dell’aspetto dell’immagine di diffrazione di una stella. Anche la scala di trasparenza dell’atmosfera gioca il suo ruolo, ed essa è stata definita in otto punti, da cielo completamente coperto, a cielo completamente limpido, in cui sono visibili le galassie più deboli. Tutto quanto precede vale, ovviamente, per il cielo notturno e l’osservazione deep sky e planetaria.Di giorno le cose cambiano, e parecchio: mentre, infatti la sera, anche nelle serate di seeing peggiore dopo una certa ora della notte l’aria tende comunque a stabilizzarsi, di giorno si verifica il contrario: man mano che il sole si alza ed il terreno si riscalda la turbolenza atmosferica aumenta vistosamente, i terrazzi assorbono calore , l’asfalto delle strade si riscalda e restituisce verso l’alto il calore, le correnti di aria calda rendono l’immagine del sole inguardabile. A tutto ciò si unisce il tubo e gli elementi costruttivi del telescopio, specie quelli dipinti in nero, che fanno sì che l’aria all’interno del tubo stesso sia in continuo movimento.Si parla, ovviamente, della zona tra 0 e 100 mt dal terreno, che è quella che più interessa e l’unica nella quale l’astrofilo ha qualche limitata possibilità di intervento. Queste possibilità di intervento,possono, secondo chi scrive, sulla base anche della sua personale esperienza, riassumersi come segue:
- La postazione osservativa solare ideale andrebbe collocata in una zona di campagna o collinare pianeggiante, con erba rasa .Il terreno erboso è infatti un ottimo assorbente di calore, e tale zona godrebbe di un seeing stabile. - Naturalmente non tutti hanno la possibilità di scegliere la località dove installare la propria postazione, molti, come anche chi scrive, hanno a disposizione un terrazzino condominiale circondato da edifici.In tal caso non c’è altra strada che effettuare le riprese ad un orario quanto più possibile mattutino, in modo da anticipare il surriscaldamento dei terrazzi degli edifici circostanti e le conseguenti colonne di aria calda.Il momento migliore è tra le sette e le otto estive T.U..Quando non è in vigore l’ora legale, l’orario è tra le otto e le nove T.U. - Il tubo ottico dello strumento usato non deve essere nero e, nel caso lo sia, va ricoperto di carta stagnola per alimenti, come tutti gli accessori (barlow, raccordi, camera) usati per le riprese. - Le giornate migliori sono quelle con assenza di vento , cielo appena velato e molto umide (in genere tali caratteristiche sono comuni alle ore che precedono l’arrivo di una perturbazione).Inutile procedere alle riprese in caso di vento forte, tempo secco e temperatura in calo.
Per le osservazioni dei dettagli nelle macchie solari, è sufficiente una risoluzione effettiva di 1” d’arco o migliore, alla portata di strumenti da 120 mm di apertura.Sfortunatamente un seeing diurno tale da permettere il raggiungimento di un tale potere risolutivo si valuta all’incirca nell’ 1% delle giornate osservative.Un simile seeing è individuabile nella chiara e costante (non a tratti) visione della granulazione fotosferica, evento che a parere di chi scrive è estremamente raro, e non gli è capitato che una o due volte da quando osserva il sole.Occorre, quindi, come vedremo, aggirare l’ostacolo, sfruttando anche i giorni (e sono la maggioranza) nei quali il seeing non è così buono.Le webcam permettono , tra i vari supporti digitali, di ottenere tale risultato, per due motivi: - Il sensore CCD per sua natura consente già di enfatizzare il potere risolutivo diurno dei vari strumenti, sino a risoluzioni inferiori al secondo d’ arco per un 110/120 mm. - La ripresa di filmati continui e la successiva estrazione di singoli fotogrammi permettono comunque di ottenere una serie di buone immagini anche in condizioni di seeing medio-cattivo.
Le condizioni ambientali
Si intendono per condizioni ambientali l’insieme dei fattori che, pur non essendo direttamente connessi alle riprese,comportano in qualche modo riflessi, positivi o negativi, sulle riprese stesse. Il primo di tali fattori è il periodo dell’anno in cui dedicarsi alle riprese solari.La questione può sembrare banale , ma non lo è, da ottobre sino ad aprile il sole si trova in una posizione nella volta celeste di bassa declinazione, quindi poco alto sull’orizzonte.In tali condizioni, già l’osservazione di un pianeta diventa problematica, a causa del più spesso strato d’aria che la luce deve attraversare, e della rifrazione atmosferica, immaginarsi poi di giorno, col contrasto di masse d’aria calda e fredda che incrementano notevolmente la turbolenza.Tale aspetto va attentamente valutato:le migliori riprese effettuate dal sottoscritto hanno avuto luogo col sole allo zenit, o quasi.A ciò si aggiunga che l’autunno e la primavera, notoriamente stagioni di transizione, sono caratterizzate da cambiamenti climatici frequenti ed improvvisi.L’inverno, dal canto suo, pur essendo più stabile, offre ben poche giornate serene ed in tale periodo il sole appare comunque troppo basso per lavori in alta risoluzione.A ciò aggiungasi , per chi ha palazzi condominiali sulla linea di vista, il deleterio effetto delle canne fumarie degli impianti di riscaldamento.Concludendo, quindi, il periodo migliore per l’ attività di ripresa solare in alta risoluzione è quello compreso tra maggio e settembre, negli orari cui si è dianzi accennato. Un secondo fattore ambientale è dato dalla postazione, intendendo con tale termine il luogo dove è situato non solo il telescopio e la montatura equatoriale, ma anche il computer, portatile o desktop, altro elemento indispensabile per le riprese digitali. Circa la localizzazione della postazione, si è già in precedenza accennato all’opportunità che questa venga situata all’aperto, possibilmente non su un terrazzo, ma in un giardino o comunque in una zona erbosa o circondata da alberi, tuttavia spesso ciò non è possibile ed occorre accontentarsi del solito balconcino o terrazzino.E’ comunque necessario che il computer, nel caso sia un desktop, non sia posto troppo lontano dal telescopio ( max 3 metri) sia per motivi logistici, nel caso non si disponga di una messa a fuoco motorizzata, onde evitare di andare avanti ed indietro per verificare messa a fuoco ed inquadratura, sia perché i cavi di prolunga USB , necessari per collegare il desktop alla camera, comunque apportano un deterioramento , anche se minimo, al segnale in ingresso nel PC.E’ inutile dire, nel caso la postazione sia annessa ad un luogo chiuso, che le porte vanno chiuse nel momento della ripresa, per evitare dannosissime correnti d’aria. terzo punto è dato dalla comodità personale: la ripresa solare, specie d’estate, è notevolmente faticosa e stressante, è fondamentale coprirsi con indumenti leggeri per ridurre al massimo la sensazione di calura ed il sudore.Non usare,ovviamente, indumenti scuri .Gli impianti di condizionamento,ove esistenti, andranno spenti per non creare correnti d’aria.
Gli accessori per la ripresa
Il prisma di Herschel
L’accessorio principe,secondo chi scrive, per le riprese solari in alta risoluzione, è il prisma di Herschel, un prisma dai lati stretti e con un’angolazione di 90° in una delle facce (quella rivolta verso il sole), e di poco meno (ca 80°) nell’altra, dalla quale viene rigettata il 90% della radiazione in arrivo e quindi del calore (Fig.8), mentre il 5% è riflesso verso l’oculare ed un altro 5% viene assorbito dal vetro.Il dispositivo fu per la prima volta richiamato da Sir John Herschel nel suo “Risultati delle osservazioni astronomiche al Capo di Buona Speranza”.C’è da dire, al proposito che, curiosamente, Herschel non lo propose quale accessorio indipendente, come viene oggi usato, ma accoppiato ad uno specchio primario non argentato concavo nella parte posteriore, in modo da far divergere la luce solare dalla parte posteriore per disperdere il calore.Sembra, tuttavia che tale dispositivo ottico non abbia avuto molto successo, tanto che Herschel,dopo un esperimento con uno specchio siffatto da 15 cm, usò per l’osservazione solare rifrattori, sia in proiezione , che con immagine filtrata.
Fig 8 Esistono in commercio varie versioni di tale accessorio, da 24,5 mm di diametro, da 31,8, e da 50,8, per l’inserimento nei portaoculari più comuni delle varie marche di telescopi. E’, innanzitutto, bene precisare che tale accessorio, come si è detto in precedenza, va usato esclusivamente con rifrattori, ed anche con rifrattori che non abbiano gruppi ottici posteriori.L’uso con altri strumenti, specie catadiottrici, può causare gravi danni allo strumento stesso. Il prisma, se ben lavorato, fornisce immagini entusiasmanti del sole in luce bianca, a patto che la luce che arriva all’oculare od alla camera venga opportunamente filtrata.Il 5% della radiazione, riflessa dal prisma, è sufficiente infatti per creare gravi danni agli occhi nell’osservazione visuale, ove non vengano interposti filtri ND (Ad esempio,ND 3,0 + ND 1,8, ma tale indicazione varia in relazione al rapporto F/D del telescopio ) di buona qualità avvitati insieme, unitamente ad un filtro taglia-infrarosso.E’ bene precisare che i filtri ND, anche se appaiono filtrare in modo notevole, non vanno mai usati da soli, al primo fuoco del telescopio, in quanto, oltre alla elevata possibilità di rottura con conseguenti irreparabili danni agli occhi, lasciano, in ogni caso, passare una certa quantità di IR vicino.Di ottima qualità sono quelli della BW di Schneider – Kreuznach, che chi scrive usa per le proprie osservazioni. Per le riprese CCD,in proiezione di oculare o con barlow, tali filtri sono eccessivi, e vanno sostituiti con altri più adeguati, (in genere, come si è visto, filtri verdi, arancio e ND 0.9) tenendo sempre a mente che l’inquadratura della macchia da riprendere va effettuata con la predetta filtratura per uso visuale. Sono, comunque, necessarie le avvertenze che seguono per utilizzare col massimo profitto ed in condizioni di totale sicurezza questo splendido accessorio:
- Quando si osserva in visuale (per inquadrare l’oggetto da riprendere od altro) non togliere mai dall’oculare i filtri a densità neutra ed IR cut cui si è accennato. - Non porre mai l’occhio (né permettere che altri lo facciano) in corrispondenza della parte posteriore del prisma, dalla quale viene rigettata ben il 90% della radiazione solare, mentre il prisma intercetta l’immagine solare.Un tale errore avrebbe come immediata conseguenza la distruzione della retina e la cecità dell’occhio del malcapitato. - Avere l’accortezza, nel caso in cui il prisma non abbia nella sua parte posteriore, un ulteriore specchietto deviatore (Fig 9) di non porre oggetti o parti di vestiario nella traettoria dei raggi solari deviati, pena la loro bruciatura.Più di una volta a chi scrive è capitato di bruciare maglioni o pantaloni per essersi incautamente avvicinato troppo alla parte posteriore del prisma. - Essere sempre sicuri e controllare, prima di osservare, (e questa deve essere una regola procedurale), di aver inserito il prisma giusto nel portaoculari.Una disattenzione o distrazione, come porre un normale deviatore stellare,anziché il prisma di Herschel, potrebbe essere fatale! - Non porre filtri od altri accessori nel cammino ottico prima del prisma di Herschel, pena il loro possibile deterioramento. - Ove si abbiano in casa bambini, non lasciare mai il telescopio ,col prisma di Herschel inserito e puntato verso il sole , privo della presenza di un adulto.
Tutte queste avvertenze potrebbero apparire eccessive, ma occorre tenere bene a mente che stiamo osservando una enorme bomba all’idrogeno che scarica nello spazio una quantità impressionante di radiazioni e di calore.Si leggeva su di un settimanale, qualche anno fa, di due incauti pellegrini in Jugoslavia, non ricordo bene dove,ridotti alla cecità per aver voluto , non so bene se per voto o per cosa altro, osservare il sole senza ausili ottici per circa due minuti.Immaginarsi cosa può capitare a chi osserva con un cannocchiale che raccoglie tre, quattrocento volte più luce dell’occhio, senza le dovute precauzioni e senza seguire rigorose procedure di sicurezza. Qualcuno potrebbe obiettare che non vale la pena di usare il prisma di Herschel, quando i filtri in vetro ottico, in mylar od in astrosolar sono piu sicuri e facili da usare, non richiedendo, tutto sommato, particolari precauzioni.Ciò non è vero per due motivi: il primo, è che le procedure di sicurezza dianzi descritte, con le ovvie modifiche, vanno seguite anche con i filtri cd. sicuri da anteporre all’obiettivo, che comunque possono deteriorarsi o , se posti male , cadere dall’obiettivo durante l’osservazione.Il secondo motivo è che la qualità ottica dei filtri in vetro non è, a mio parere, tale da poter competere con quella di un buon obiettivo su cui è montato, pena costi elevatissimi del filtro stesso, le cui facce dovrebbero essere rigorosamente pian parallele e lavorate al limite della diffrazione.Alcuni di tali filtri lavorati con strettissime tolleranze venivano, se ben ricordo, prodotti dalla Zeiss, ma i prezzi erano molto elevati.Per quanto riguarda il mylar e l’astrosolar, il cui ridottissimo spessore non provoca problemi di lavorazione e parallelismo,qui entra in gioco il fattore di assorbimento della luce,ottimale per le riprese a bassa- media risoluzione e per l’osservazione visuale e le riprese a focali ridotte, ma eccessivo per le riprese a focali elevate , volendo ottenere tempi di otturazione talmente brevi da battere il seeing diurno. Tutto ciò senza tener conto che, anche se mylar ed astrosolar hanno uno spessore ridottissimo, sono comunque elementi posti lungo il cammino ottico e che contribuiscono alla formazione dell’immagine, mentre l’immagine solare riflessa dal prisma di Herschel è quella del solo obiettivo, e quindi pura per eccellenza. Il prisma di Herschel non costituisce quindi , in conclusione, un mero accessorio di ripresa, ma la parte indispensabile di un sistema di ripresa solare ad alta risoluzione, ove con tale termine si intendano riprese con focali comprese tra i 3000 ed i 10.000 mm.Tale range focale è oggi disponibile con rifrattori di obiettivo da 100 a 150 mm di diametro,anche commerciali, il cui potere risolutivo è sufficiente a mostrare, come vedremo, particolari anche inferiori al secondo d’arco. E’ ancora una volta da sottolineare come il prisma di Herschel, oltre che di buona qualità ottica, deve essere di dimensioni adeguate al fascio ottico generato dall’obiettivo ed alle dimensioni di quest’ultimo, allo scopo di dissipare quanto più possibile il calore. In ogni caso, potendo scegliere e non avendo vincoli economici, tra un prisma da 31,8 ed uno da 50,8 mm conviene senz’altro optare per quest’ultimo, la cui superficie maggiore permetterà, a parità di lavorazione, una più efficiente dissipazione del calore, il mantenimento della figura ottica del prisma stesso ed un migliore qualità dell’immagine risultante.
I dispositivi di amplificazione della focale
I rifrattori amatoriali ed in genere i telescopi adatti all’uso solare in commercio hanno una focale mediamente aggirantesi intorno ai 1000/1500mm., più che sufficiente per un uso visuale o per riprese a bassa risoluzione, ma insufficiente allorquando si vogliano riprendere particolari minuti della fotosfera, come granuli, frastagliature delle macchie, piccoli brillamenti, etc. E’ necessario, in tal caso, allungare la focale da 3 a 5X sino a raggiungere , ove necessario, e seeing permettendo, anche i 7/8 metri. I sistemi di amplificazione disponibili sono essenzialmente due: quello di proiezione e quello con l’uso di gruppi ottici negativi cd. “lenti di Barlow”.
Il sistema di proiezione viene in genere ottenuto con un oculare di focale medio- corta che proietta l’immagine,amplificandola, sul sensore della camera.E’ un sistema che fornisce buoni risultati, a patto di usare oculari di buona qualità od addirittura oculari progettati per tale uso, che sono però costosi.Un’ottima alternativa, è l’uso di obiettivi cinematografici da ripresa a corto fuoco, ancora rintracciabili nei mercatini o presso i rivenditori di surplus, che presentano un campo corretto esteso.Si ha , in tal caso:
Feq = F x ( T/Fo -1) Dove: Feq è la focale equivalente; F è la focale del telescopio T è la distanza dell’oculare dal sensore Fo è la focale dell’oculare.
Il secondo sistema prevede l’uso di complessi telenegativi, detti “lenti di barlow”, oggetto negli ultimi anni di rilevanti progressi nei relativi progetti ottici.Dai semplici doppietti si è infatti passati a tripletti apocromatici, ed addirittura a sistemi a quattro lenti che garantiscono un’eccezionale resa dell’immagine anche con forti poteri di amplificazione.Infatti, mentre sino a qualche anno fa il sistema di proiezione appariva avere una resa migliore, oggi la situazione si è capovolta, andando a vantaggio delle barlow, a patto siano di ottima qualità.Chi scrive ha effettuato gran parte delle riprese illustrate nel presente lavoro con l’utilizzo di barlow 2X e 5X .Le nuove barlow a 4 lenti in due gruppi, in particolare, presentano una resa straordinaria, con una incisione e completa assenza di colore secondario,tale da risultare probabilmente superiore a tutti gli altri sistemi di amplificazione. La formula per il calcolo della focale equivalente è la seguente:
Feq = F x Fb / F - Fb – (F-G) Dove: Feq è la focale equivalente F è la focale del telescopio Fb è la focale della barlow G è la distanza della barlow dal fuoco primario.
In genere l’uso di tale formula non è necessaria, in quanto le lenti di barlow portano indicato sul barilotto il fattore di amplificazione (2x, 3x ..etc)per il quale occorre moltiplicare la focale del telescopio per ottenere la focale equivalente.C’è da dire, comunque, che tale fattore di amplificazione è calcolato per una distanza dell’oculare (o della camera) pari a quella ottenuta inserendo l’oculare stesso, sino a battuta, del barilotto della barlow. Ove si allontani l’oculare o la camera dalla barlow stessa con un distanziatore l’amplificazione aumenta per un meccanismo di proiezione.Questo vantaggio non può tuttavia essere utilizzato in modo eccessivo, in quanto le barlow vengono progettate per un certo fattore di ingrandimento, variando il quale possono essere introdotte nel sistema aberrazioni proporzionali all’incremento di amplificazione,che può essere calcolato con la formula:
A1 = A – (D/Fb) Dove A1 è il nuovo fattore di Amplificazione A è il fattore di amplif. Dato
D è la distanza aggiuntiva del distanziatore
Fb è la focale della barlow (negativa)
Il cercatore solare
Potrebbe sembrare strano un riferimento al cercatore, che normalmente è parte integrante del telescopio, tra gli accessori. Il fatto è che il cercatore solare è un caso a sé.Sono stati ideati e provati vari tipi di cercatori solari, quelli simili alla mira di un fucile, quelli costruiti con due crocicchi distanziati, etc. Il tipo più pratico e comodo da usare resta tuttavia un normale cercatore con un “cappello” in mylar od astrosolar.davanti all’obiettivo.E’ bene, in proposito, assicurarsi sempre che tale filtro sia ben assicurato all’obiettivo prima di iniziare le osservazioni o le riprese.Una variante di tale cercatore può essere un rifrattorino commerciale 50/300 o 60/ 415, o simili, da porre in parallelo allo strumento principale ed allineato con quest’ultimo, allo scopo di usarlo per la centratura delle macchie nel campo del CCD.
La Camera
Con la parola “camera” si intendono svariati sistemi di ripresa.Nel contesto del presente lavoro si farà esclusivamente riferimento a quelli digitali, ed in particolare alle webcam, dimostratesi, inaspettatamente, ausili preziosi ed oramai indispensabili per le riprese astronomiche in alta risoluzione, solari e non.
Generalità sui sistemi CCD
Prima di parlare delle webcam è il caso di effettuare una breve panoramica del mondo dei sensori allo stato solido (CCD – charge coupled device) che hanno rivoluzionato nell’ultimo trentennio il mondo dell’imaging, e permesso alla ricerca astronomica di raggiungere risultati assolutamente impossibili da ottenere con i supporti fotografici tradizionali.Lo sviluppo dei sistemi CCD, sull’onda dell’indotto scientifico connesso alle imprese spaziali,ha avuto inizio nel 1970 nei laboratori Bell ed è proseguito nel 1972 con un programma del Jet Propulsion Laboratory, diffondendosi poi dall’ambito della ricerca spaziale a quella astronomica con l’uso da parte dei maggiori osservatori. E’ un dato di fatto,ormai, che i sistemi CCD hanno oggi soppiantato completamente i supporti fotografici,ed i motivi di tale completa vittoria sono così riassumibili: - Conversione dell’impulso luminoso in impulso elettrico e quindi in segnale numerico, che rende possibile la tempestiva elaborazione digitale tramite PC del segnale stesso. - Range spettrale dei sensori, specie quelli dell’ultima generazione, che può andare dall’ultravioletto all’infrarosso passando per il visibile, con una versatilità d’uso sconosciuta alle emulsioni fotografiche per l’astronomia. - Efficienza quantica,intesa quale percentuale dei fotoni convertiti dal sensore in elettroni in rapporto a quelli che lo hanno raggiunto, che va dal 20 al 90% a seconda dei sensori utilizzati e del range spettrale, mentre le pellicole più sensibili non supera il 5%. - Assenza del difetto di reciprocità che caratterizza tutte le pellicole fotografiche, e quindi risposta lineare del sensore,dal punto di vista del segnale accumulato, all’aumentare del tempo di esposizione. Tra le analogie effettuate per rappresentare il funzionamento di un sensore CCD particolarmente efficace è quella che rapporta la superficie del sensore ad un campo in cui sussistono un certo numero di contenitori (pixel) abilitati a raccogliere la pioggia che cade (fotoni) convertendoli in elettroni, cosicchè al termine della pioggia il contenuto in elettroni di ciascun contenitore viene misurato numericamente (conversione A/D ), in modo da poter essere letto ed interpretato, tramite un apposito software, da un PC. L’approfondimento del fenomeno CCD non è, tuttavia, scopo di questa trattazione, motivo per il quale ci interesseremo solo degli aspetti dell’acquisizione delle immagini CCD di diretto ed immediato interesse per le riprese solari in HR.Tali aspetti sono riassumibili nelle principali operazioni propedeutiche all’acquisizione della immagini: - 1) sottrazione della corrente di buio, normalmente effettuata con la sottrazione di un’immagine contenente il rumore di bias ed il rumore termico del sensore in rapporto alla temperatura operativa ed alla durata dell’esposizione.Tale immagine (dark frame) viene ripresa otturando con un tappo il telescopio per lo stesso periodo di tempo dell’esposizione dell’immagine raw.Tale sottrazione, indispensabile per le pose prolungate nei sensori raffreddati, non è, ad avviso di chi scrive, assolutamente necessaria nelle riprese HR per i brevissimi tempi di otturazione in gioco. - 2)applicazione del flat field,finalizzata a correggere eventuali disomogeneità nella sensibilità dei vari pixel del sensore, nonchè vignettature e depositi di sporcizia sul vetrino del sensore, ovvero in altri punti del sistema di acquisizione.Tale operazione si ravvisa assolutamente necessaria, in quanto spesso , date le lunghe focali coinvolte, macchie scure sulle immagini per granelli di polvere sul vetrino del sensore o sulle barlow sono all’ordine del giorno. Unica alternativa, non sempre possibile, è quella di riprendere l’oggetto in zone del campo inquadrato libere da macchie e poi ritagliare l’immagine finale, e/o, ma risulta veramente difficile,di tenere vetrino del sensore e superficie delle lenti sempre perfettamente puliti - 3)Particolarmente importante per le riprese in alta risoluzione, e quindi meritevole di uno specifico approfondimento, è la determinazione dell’esatto campionamento del sensore.
Il sistema Telescopio – CCD in alta risoluzione: il campionamento.
Con la parola “campionamento” si intende un abbinamento del sistema ottico (telescopio) ed dei pixel del sensore CCD tale che ciascuno di essi registri la massima parte dell’informazione consentita dall’ottica: ciò viene ottenuto con la regolazione della lunghezza focale in rapporto alla dimensione dei pixel. Il teorema del campionamento, introdotto dall’Ing Nyquist, un dipendente della ATT per scopi più generali dell’imaging CCD, si estende in modo completo a quest’ultimo.Esso, molto in sintesi, afferma che sono necessarie due misurazioni per ogni unità di risoluzione che occorre registrare. Quindi, per sfruttare in modo ottimale la risoluzione massima del telescopio sarà necessaria una lunghezza focale che “spalmi” tale risoluzione su due pixel del sensore.In parole povere, se uso uno strumento di 110 mm di diametro, che, in base al limite di Dawes Pr = 116/D, offre un potere risolutivo max di circa 1 sec d’arco (116/110), occorrerà , per un accoppiamento ottimale del sistema in alta risoluzione, adottare una focale tale che che ciascun pixel registri 0,5 sec. Tale accoppiamento dovrà tener conto della dimensione fisica dei pixel stessi, e la focale ricercata è pari a:
F = P x 206205 / C
P sono le dimensioni in mm dei pixel (lato, in caso di pixel quadrati, e diagonale in caso di pixel rettangolari);
206205 è il valore di un radiante in secondi d’arco;
C è il valore in secondi d’arco per pixel.
Nell’esempio precedente, nel caso di un sensore quadrato con 5,6 micron di lato si avrà quindi la seguente relazione:
F = 0,0056 x 206205 / 0,5 = 1154,75 / 0,5 = 2309 mm.
Il sovracampionamento, ossia l’utilizzo di focali più elevate in HR porta normalmente ad immagini a più basso contrasto e rumorose, tuttavia esso è spesso preferito dagli appassionati di riprese planetarie rispetto al sottocampionamento.Ciò anche perchè l’uso di webcam e la possibilità di effettuare filmati permette di sommare e mediare le immagini migliori (spesso alcune centinaia) e quindi di migliorare nettamente il rapporto segnale/rumore.Nel caso del sole, a parere di chi scrive, gli inconvenienti del sovracampionamento sono ampiamente compensati, oltre che dallo stacking delle immagini, dall’enorme contrasto in gioco.Ma perchè sovracampionare nelle riprese solari in HR con un prisma di herschel? La risposta non è semplice; innanzitutto in tale tipo di riprese il fattore dominante è l’eccesso di luce in ingresso nel sistema , che l’utilizzo di focali elevate riduce notevolmente.Vero è che si potrebbero utilizzare filtri a densità più elevata ovvero più filtri neutri accoppiati, ma non dimentichiamoci che a tali filtri vanno di norma aggiunti un filtro verde ed un IR cut, e, in taluni casi, anche uno arancione, e ciascuno di tali filtri (ovviamente si parla di quelli commerciali) introduce aberrazioni nel sistema ottico.L’uso di una focale più elevata (mediamente del 50%) rispetto alla regola del campionamento consente quindi di ridurre l’uso in fase di ripresa degli elementi di filtraggio (per osservare o centrare, è bene ripeterlo, occorrono le filtrature cui si è in precedenza accennato).Chi scrive ha usato normalmente per il suo rifrattore Zeiss da 110 mm con la Webcam Philips Vesta (pixel da 5,6 micron) un campionamento di circa 0,3, pari ad una focale di circa 3800 mm, che farebbe storcere la bocca ai puristi del campionamento perfetto.Con tale usa, tuttavia, solo due filtri (verde ed IR cut) od al massimo tre, con un ND 0.9 con una velocità di otturazione elettronica della camera di 1/5000 con guadagno al minimo, più che sufficiente a congelare il seeing diurno.Tale campionamento gli ha comunque permesso il raggiungimento del potere risolutivo teorico o lievemente inferiore .Con un rifrattore apocromatico Takahashi FS 128 la focale usata è stata del pari notevolmente superiore a quella prevista in base ad un corretto campionamento (2600 ca), aggirandosi mediamente sui 5/6000 mm. Dopo l’accenno ai sistemi CCD nel loro complesso, è ora il caso di parlare delle webcam, camere non raffreddate progettate per l’utilizzo domestico o d’ufficio in accoppiata con personal computer, al fine dello scambio delle immagini anche in remoto
Il mercato offre una vasta serie di prodotti informatici per la ripresa casalinga, di marche più o meno di prestigio.Non tutti, però, sono adattabili alle esigenze dell’astrofilo evoluto che voglia usarle per scopi per le quali non sono state progettate. Cerchiamo allora di definire le caratteristiche di maggior peso per l’utilizzo astronomico in generale, e solare in particolare, di tali dispositivi.
-1) Il sensore. Esso deve necessariamente essere un sensore CCD (charge coupled device), e non Cmos, in quanto il primo presenta una migliore risposta alle varie frequenze ed un rumore di fondo molto più contenuto, anche se i sensori dell’ultima generazione implementati sulle digicam e sulle reflex digitali hanno fatto notevolissimi progressi.Sarà, inoltre necessario, per lavori in HR che i suoi pixel siano di dimensioni quanto minori possibile
2) Il collegamento al PC. Dovrà necessariamente essere di tipo USB,meglio se 2.0, allo scopo di garantire un flusso di dati al secondo compatibili con la gestione di filmati.
- 3) L’obiettivo Dovrà essere completamente estraibile dal corpo della camera, per permettere il collegamento diretto della stessa al telescopio, evitando soluzioni afocali che peggiorano la qualità dell’immagine.
-4) Il software sarà essere semplice ed intuitivo, capace di riprendere filmati anche in diverse risoluzioni
Camere web che rispondono alle caratteristiche suindicate, e che pertanto hanno avuto una vastissima diffusione nel mondo dell’astrofilia, sono quelle prodotte dalla casa olandese Philips e commercializzate con i marchi Vesta, Vesta pro e Toucam III .
La Vesta e Vesta pro si avvalgono entrambe di un sensore CCD Sony da ¼ di pollice tipo ICX098AK o equivalente, con risoluzione di 659 x 494 pixel quadrati da 5,6 micron. per un totale di circa 330.000 pixel.Tale camera può riprendere immagini singole e filmati da 5 a 30 frames/sec, con velocità elettroniche di otturazione da 1/25 ad 1/10.000. La Toucam pro, anche nel modello più recente, reca un sensore CCD da ¼ di pollice, anch’esso di risoluzione 659 x 494 pixel quadrati da 5,6 m.,e presenta una maggiore sensibilità rispetto al modello precedente. Può riprendere immagini singole, e filmati da un minimo di 5 frame al sec. ad un max di 60 frames., con otturazione elettronica da 1/25 ad 1/10.000. Tali sensori hanno una sensibilità spettrale equilibrata nei tre colori primari, con un picco nel verde, intorno ai 550 nm, cosa che li rende quindi indicati per le riprese del sole in luce verde.Il colore è fornito da microfiltri RGB sul chip.Essi presentano, tuttavia, una elevata sensibilità anche nell’IR vicino per cui è sempre opportuno riprendere con un filtro IR cut.Le piccole dimensioni utili del sensore (3,87 x 2,82 mm) pongono inoltre notevoli problemi per l’inquadratura degli oggetti da riprendere a focali elevate e per l’eventuale shifting dell’immagine in fase di messa a fuoco. Si ritiene opportuno riassumere, di seguito, alcuni consigli per l’ottimale utilizzo delle predette webcam in lavori ad alta risoluzione sul sole.
E’ Innanzitutto, è di primaria importanza l’inquadratura dell’oggetto che si vuole riprendere e la sua messa a fuoco.Chi scrive usa la seguente procedura: dopo aver acceso la camera ed il PC, lanciato il software di gestione, e puntato il sole col prisma di Herschel, la barlow ed i filtri ritenuti necessari per la ripresa (generalmente un W58 ed un ND0,9 ed un IR cut), assolutamente, è bene ribadirlo, insufficienti per un uso visuale, pone nel portaoculare prima un oculare parfocale per la messa a fuoco di massima, e poi un altro dello stesso tipo con un crocifilo per la centratura dell’oggetto,su entrambi i quali è stato posto,all’esterno, sulla lente dell’occhio,con un barilotto autocostruito, un filtro ND della densità necessaria in base alle focale usata; la messa a fuoco di precisione viene poi effettuata direttamente sullo schermo del computer .La procedura di centratura della macchia può, come si è detto,anche essere effettuata con uno strumento ausiliario posto in parallelo con quello principale ed allineato con quest’ultimo davanti al quale sia stato apposto un filtro in astrosolar od in mylar, mentre la focheggiatura può essere, quella di massima effettuata sul bordo del disco solare, e quella di precisione direttamente sulla macchia visibile sullo schermo del PC.Una volta centrata la macchia solare od il gruppo di macchie di interesse e verificata la messa a fuoco, inserisce la camera ed avvia sul PC l’acquisizione di un filmato che, è bene precisarlo, non dovrà essere né troppo breve, né troppo lungo, mediamente di ca. 120sec a 5/10 fps; se il seeing lo permette, è preferibile acquisire a 5 frames al secondo, e non superare comunque i 10.La filtratura “leggera” permette tempi di otturazione elettronica molto veloci ( tra 1/2500 ed 1/5000 ad f 35, a seconda della trasparenza del cielo), più che sufficienti a congelare parzialmente il seeing. Ciononostante, le immagini accettabili per la media e l’elaborazione si aggirano, in medie condizioni meteo, tra il 5 ed il 15% del totale di quelle estratte dal filmato. Un altro aspetto non secondario da affrontare è quello del calore cui la camera viene sottoposta durante la sessione per l’esposizione ai raggi solari.Escluse alcune idee fuori dell’ordinario, quali porre la camera in frigo prima della sessione (potrebbe formarsi condensa sul sensore), l’unico approccio efficace è quella di una copertura di cartone rivestito di carta stagnola da apporre sulla camera per tutta la durata della ripresa. Tale espediente si è rivelato molto utile per raffreddare in parte la camera ed il sensore, inducendo una diminuzione del rumore di fondo che, come si sa, aumenta in modo diretto con l’aumentare della temperatura. Pur non avendo mai tentato, non riterrei comunque adatto allo scopo un raffreddamento prodotto da una ventola applicata alla camera o sul telescopio, per il semplice fatto che tale ventola, produce inevitabilmente microvibrazioni , tanto più dannose quanto più viene incrementata la focale di ripresa. Sono state immesse sul mercato, e si sono rivelate ottime per le riprese solari, videocamere CCD della marca Imaging Source, modelli DMK , DFK e DBK, con risoluzioni sino a 1280 x 960.
L’elaborazione
Ogni appassionato di fotografia digitale sa che il momento della ripresa, per quanto importante, è solo un passo del risultato finale, sul quale influirà in modo decisivo l’abilità nell’elaborazione delle immagini cd. “grezze”, o , per usare un termine anglofono, “raw”. Il digitale solare non fa eccezione, anzi conferma clamorosamente la regola, proprio perché tali immagini risentono più pesantemente del seeing e necessitano quindi di uno stadio di elaborazione più accorto e laborioso. Personalmente consiglio al novizio di non farsi affascinare dai numerosi programmi di elaborazione esistenti sul mercato, spesso offerti a prezzi esorbitanti, che non sempre sono adatti per l’astronomia.Esistono oggi numerosi programmi freeware, che hanno il vantaggio di non costare nulla e sono talmente validi da non avere nulla da invidiare a quelli commerciali.Cito, tra gli altri, il celebre “Iris”, “Avi2 bmp”, “Registax”, tutti liberamente scaricabili dai siti web degli autori.Consiglio, in particolare, Registax, ora alla versione 4, dimostratosi veramente eccellente nella elaborazione delle immagini della fotosfera solare. Non mi ritengo un esperto di informatica, ma un semplice utilizzatore, ed è quindi in tale ottica che ho valutato i programmi che andrò ad illustrare, privilegiando in primo luogo la semplicità d’uso, che ritengo fondamentale, quindi la stabilità della piattaforma, ed infine la sua capacità di fornire buoni risultati . Dopo questa premessa, passo a descrivere la sequenza operativa che contraddistingue Il mio lavoro al computer durante le riprese solari. Innanzitutto, una volta acceso il computer , lancio il programma di gestione della camera, che può essere quello in dotazione con la stessa, ovvero altri, quali Iris , etc. Una volta centrato sullo schermo l’oggetto da riprendere ed effettuata la messa a fuoco, lancio l’acquisizione di un filmato di ca. 2 minuti, che in genere, a seconda dei frame al sec. stabiliti, permette di ricavare tra 600 e 1800 immagini . Correggo lievemente la messa a fuoco, quindi ripeto l’operazione.Ciò in quanto il ribollimento dell’immagine solare raramente consente di essere certi di una perfetta messa a fuoco, se necessario ripeto l’operazione ancora una volta. I filmati ottenuti in formato Avi vengono quindi esaminati con Avi2 Bmp, un ottimo programma per l’esame e la conversione dei files Avi in singole immagini bitmap.Tale operazione è particolarmente delicata, e dalla sua corretta effettuazione dipende l’esito finale e la qualità dell’immagine mediata.Occorrerà, infatti scegliere solo le immagini migliori, e può sembrare una cosa ovvia, ma non lo è, dato che ,a parità di incisione, alcune immagini sono distorte e non possono quindi essere considerate valide per la media.Consiglierei quindi di scegliere un’immagine “campione” migliore sia per l’incisione che per la planeità, alla quale fare riferimento per le successive immagini da scegliere.Una volta, comunque, effettuata tale operazione e salvati in un’apposita directory sull’hard disk i files Bmp con le immagini da mediare ed assemblare, lancio quello che è, a mio avviso, il programma principe per la media e lo stacking delle immagini solari: Registax: questo programma freeware (quindi gratuito) possiede infatti un efficientissimo algoritmo che, non solo provvede a mediare le immagini, ma ne migliora la qualità ancorando la stessa a quella dell’immagine più incisa.Come se non bastasse, tale incredibile programmino provvede anche , in fase finale, all’incremento del livello di incisione e contrasto con un layer “wavelet” che è tanto semplice da usare quanto efficace.Le ultime versioni di tale programma (attualmente la 5) permettono una efficace trasformazione dei filmati AVI solari in immagini e la elaborazione di queste ultime.
L’attore sulla scena: Il sole
Abbiamo sinora discusso sulle varie tecniche di ripresa solare in alta definizione, definendo in particolare gli strumenti necessari, i filtri da usare, i procedimenti di acquisizione ed elaborazione. Tutto ciò, tuttavia, sarebbe inutile senza una conoscenza, anche di massima, dell’oggetto della ripresa e dei fenomeni che continuamente avvengono sulla sua superficie.L’esposizione che segue non pretende certo di essere esaustiva, ma vuole semplicemente evidenziare alcuni aspetti della fisica solare di interesse per l’astrofilo che si dedica alle riprese del sole.
Il sole può essere considerato come un ammasso di gas di forma pressocchè sferica, le cui caratteristiche fisico- chimiche, (pressione, densità, temperatura, composizione chimica) variano in modo continuo lungo il raggio. Tale enorme sfera gassosa si trova ad una distanza media dalla terra pari a 149. 597.900 Km.Il suo diametro vale 109 diametri terrestri e la sua massa 333.000 masse terrestri.Per contro, la sua densità media di 1,41 gr/cm^-3 è nettamente inferiore a quella della terra di 5,52 gr/ cm^-3. L’irraggiamento solare vale la fantastica cifra di ca: 4x 10^23 KW al secondo, ovvero in un secondo il sole emette più energia di quella impiegata dall’umanità nel corso di tutta la sua storia! Si intende con l’espressione “atmosfera solare” quelle regioni del sole dalle quali è possibile ricevere direttamente radiazione elettromagnetica e con quella “interno del sole” le regioni sottostanti.L’atmosfera solare è quindi costituita da quella regione di transizione che si estende dalla parte più esterna dell’interno del sole al mezzo interstellare. Gli strati più profondi dell’atmosfera solare costituiscono la fotosfera.La temperatura di corpo nero della fotosfera si aggira, come si è detto sui 5800 K.Gli strati intermedi costituiscono la cromosfera, con una temperatura tra i 10.000 e 20.000 K, dove domina l’emissione della riga Ha dell’idrogeno a 6563 A.La parte più esterna è quella della corona, visibile durante le eclissi, dove la temperatura sale sino a 1.000.000 K.
La fotosfera
La prima caratteristica che, osservando la fotosfera con strumenti di apertura adatta,appare all’osservatore è quella dei granuli, strutture di forma poligonale del diametro di circa 700/ 1000 Km, nel cui ambito sono osservabili sottostrutture di circa 200 Km.La forma dei granuli, dovuti a colonne convettive di gas in continuo scambio con gli strati sottostanti, cambia continuamente, anche se, come si è detto è privilegiata quella poligonale, e la loro esistenza è limitata a circa 10 minuti.Sembra, inoltre, che la temperatura della parte centrale dei granuli superi quella delle zone intergranulari: la differenza presenta, in base alle diverse stime, risultati non omogenei che vanno da 100 a 2000 K.Le celle della granulazione fotosferica hanno una dimensione in secondi d’arco che segue, grosso modo, una curva a campana, da un minimo di 1” ad un max di 5”.La maggior parte dei granuli sottende, tuttavia, circa 2/ 2,5”.La visibilità della granulazione, massima nella parte centrale del sole, decresce man mano andando verso i bordi, sino a scomparire sul lembo.Il “ pattern” della granulazione non è influenzato, eccetto che in casi sporadici, dalle macchie solari e dai connessi elevati campi magnetici.Nell’immediata vicinanza delle macchie è stata tuttavia notata una maggiore intensità nella brillanza dei granuli, specie nelle regioni violetto e blu-violetto dello spettro.
La seconda caratteristica della fotosfera è costituita dai “pori” e dalle macchie solari.I primi sono regioni di pochi secondi d’arco d’ampiezza,di temperatura notevolmente inferiore a quella fotosferica,dato che irraggiano il 50% circa e che appaiono quindi scure, pur senza avere zone intermedie , come la penombra nelle macchie solari vere e proprie. Le macchie solari costituiscono la parte più evidente delle regioni attive, e le prime ad essere scoperte. La prima osservazione conosciuta di macchie solari è attribuita a Teofrasto, allievo di Aristotele, nel IV sec. A.C.Nel medioevo, probabilmente a seguito dell’influenza del pregiudizio Aristotelico di un mondo celeste immutabile, le notizie di tale tipo di osservazioni furono minime.Fu con l’invenzione del telescopio che l’osservazione della macchie solari ebbe inizio in modo costante e sempre più scientifico.Galileo, Fabricius, Harriot le effettuarono sistematicamente con l’utilizzo della tecnica di proiezione, focheggiando l’immagine data dal telescopio con l’oculare su di un cartone od uno schermo bianco posto dietro allo stesso. Le macchie solari hanno un diametro compreso tra 7000 e 50.000 Km.: molte di esse superano quindi la dimensione della terra.La morfologia delle macchie è complessa, essa si riassume in due principali strutture: la penombra e l’ombra.La prima consiste in un sistema di sottili filamenti più chiari rispetto allo sfondo della penombra stessa,ma che sono, comunque, anch’essi più scuri della fotosfera che li circonda.
I singoli filamenti sono molto stretti, sottendendo un angolo di 1” d’arco o meno.I dettagli della penombra sono quindi più fini di quelli della granulazione (2/2,5”).Alcuni autori hanno ulteriormente ridotto tale valutazione, ponendo i filamenti della penombra in un range tra lo 0,5 ed 1”, il che postula che le riprese che mostrano con chiarezza tali dettagli hanno raggiunto risoluzioni al limite della risolvenza strumentale amatoriale e del seeing.I filamenti della penombra hanno un tempo medio di esistenza stimato in ore, e quindi notevolmente più lungo di quello dei granuli (10 min).Le evidenze osservative fanno supporre che la formazione della penombra è dovuta all’oscuramento del materiale intergranulare per effetto della penetrazione di parte del campo magnetico dell’ombra nella circostante fotosfera.Solo in un successivo stadio evolutivo appaiono i filamenti più chiari, che completano la struttura.Questa è spesso complicata dall’esistenza di punti e zone brillanti , molto più caldi e luminosi della penombra circostante, sovente collocati nel bordo tra penombra ed ombra, dove è più elevato il gradiente del campo magnetico della macchia.I punti e le zone brillanti hanno mediamente una durata di ore, anche se sono stati segnalati casi di variazioni improvvise nella loro morfologia in alcuni minuti. L’ombra delle macchie presenta una struttura cellulare che ricorda molto da vicino quella della granulazione fotosferica, e la presenza di tale struttura dimostra che i processi convettivi che operano nella fotosfera e sono alla base della granulazione operano anche all’interno delle macchie solari, non essendo sufficiente il potente campo magnetico dell’ombra ad interrompere i moti convettivi con gli strati sottostanti.L’unica conseguenza che il campo magnetico sembra apportare riguarda la dimensione dei granuli, leggermente inferiore a quella dei granuli fotosferici, sintomo che i processi convettivi vengono, se non interrotti, comunque resi più difficoltosi , il che spiega la diminuzione della temperatura nelle macchie solari. La tecnica necessaria per la ripresa dell’ombra delle macchie è grossomodo quella in precedenza indicata, con l’ulteriore precisazione che va opportunamente usato un filtro arancio, tenuto conto, come si è detto , della banda spettrale in cui emette la zona umbrale, e che è molto utile un diaframma che isoli l’ombra stessa dalla penombra: l’esposizione andrà incrementata in conseguenza; nell’appendice 2 al presente lavoro sono illustrati alcuni casi di ripresa della struttura granulare dell’ombra delle macchie. La struttura umbrale è spesso caratterizzata dai cosiddetti “ponti luminosi” o “light bridges”, nella forma di vaste aree di materiale luminoso che si estendono da un bordo all’altro dell’ombra, proprio come un ponte .Tali aree sono piuttosto stabili nel corso della vita delle macchie solari dove si sviluppano, anche se soggette a cambiamenti.
Si è in precedenza accennato al campo magnetico delle macchie solari , la potenza di tale campo varia dai 100 Gauss delle piccole macchie o pori agli oltre 4000 Gauss di quelle di grandi dimensioni.Un potente strumento di indagine della forza del campo magnetico delle macchie è dato dalla misurazione del cd. “Effetto Zeeman”, causato dallo spostamento o sdoppiamento, in assorbimento od in emissione, di alcune righe del ferro dello spettro solare in luce polarizzata.Tale misurazione ha permesso, tra l’altro, di accertare che i campi magnetici delle macchie penetrano entro la cromosfera per almeno duemila Km. Le facole sono strutture luminose osservabili nelle regioni attive non solo a livello fotosferico, ma anche a livello cromosferico e coronale, in prossimità delle macchie, delle quali costituiscono il prologo, in quanto nascono immediatamente prima di queste, e sono associate ai potenti campi magnetici delle zone maculari.A livello fotosferico sono osservabili sul lembo solare quali strutture di forma reticolare più brillanti della fotosfera che le circonda.Per quanto riguarda le riprese, l’uso di filtri verde o verde ed arancio combinati possono evidenziare bene la struttura delle facole ed aumentare il loro contrasto rispetto alla zona fotosferica circostante. I brillamenti sono anch’essi fenomeni non limitati alla fotosfera, ma che si sviluppano essenzialmente nella cromosfera, dovuti ad improvvise emissioni di energia , probabilmente di origine magnetica, che producono un improvviso e localizzato riscaldamento della cromosfera e della corona.Gran parte dei brillamenti si sviluppa in regioni attive in cui sono presenti macchie, e specificatamente nella prima parte della vita di queste, quando le variazioni dei campi magnetici sono più pronunciate.A livello fotosferico, essi si osservano come regioni molto brillanti sulla penombra od il bordo delle macchie.
La cromosfera
La cromosfera è costituita da un sottile strato di gas di ca. 15000 Km. di spessore, che si interpone tra la fotosfera e la corona .Essa è trasparente alla luce bianca e può essere osservata in dettaglio in luce monocromatica nelle righe dell’idrogeno neutro Ha (6563 A) e quelle H e K del calcio ionizzato.La regione più esterna della cromosfera è composta da strutture frastagliate e brillanti denominate spiculae, di forma conica , con base di 1000 Km ed altezza circa 10.000 Km.La loro temperatura oscilla tra i 10.000 ed i 20.000 K ed hanno una durata compresa tra 5 e 10 minuti, inferiore quindi a quella della granulazione fotosferica.La loro formazione sembra sia connessa all’iterazione tra la granulazione fotosferica ed i campi magnetici esistenti alla periferia delle celle di supergranulazione, altra struttura di maggior livello della cromosfera.I principali fenomeni della cromosfera sono costituiti dalle facole e dai brillamenti cromosferici , cui si è dianzi accennato, e dalle protuberanze.Queste ultime appaiono come getti luminosi di plasma di forma arcuata, di temperatura di oltre 20.000 K e di altezza sino a 40.000/50.000 Km ed oltre.Esse si dividono in due classi principali: quelle quiescenti e quelle a rapida evoluzione.Le prime durano mediamente tre mesi, mentre le seconde, oltre ad essere di dimensioni inferiori hanno una durata media di circa 20 minuti.La ripresa di tali fenomeni , effettuata a livello amatoriale con filtri centrati sulla riga Ha dell’idrogeno da 1,5 a 0,5 A, esula dalla presente trattazione, dedicata alle riprese delle strutture fotosferiche.
La Corona
Questa è la parte dell’atmosfera solare più esterna, molto rarefatta e con temperature che superano il milione di K, dove la materia è in stato di plasma ed emette principalmente nelle bande spettrali della radiazione UV ed X.L’emissione coronale nei raggi X è disomogenea, ed è connessa allo stato della corona, che presenta zone brillanti (regioni attive) e zone scure (buchi coronali).La corona, con le sue estensioni e raggi, è chiaramente visibile durante le eclissi con strumenti amatoriali.Al di fuori di esse, le osservazioni e riprese di tali strutture sono appannaggio di strumenti professionali ed in particolari condizioni ambientali.
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